Igiene orale in caso di parodontite

igiene-piorrea

Curare l’igiene orale è ormai di fondamentale importanza al fine di mantenere una bocca ed un corpo in perfetta salute.

Perché è importante avere cura dei propri denti a casa?

Sicuramente avere cura della propria bocca, e quindi dei denti e delle gengive, è importante per la nostra salute e per il nostro organismo, per il nostro benessere psico-fisico, per il nostro sorriso.

Avere un bel sorriso è importante nelle relazioni interpersonali, una bocca curata, pulita e in ordine è un'ottima premessa sociale, aiuta a stare bene con se stessi e ad essere accettati da chi ci sta vicino. Al di là di un aspetto trascurato e disarmonico, una bocca non curata e non igienica è l'anticamera di problemi orali, relativi sia agli elementi dentali sia tessuti molli di supporto della dentatura.

La comparsa di problematiche odontostomatologiche infatti non porta solo al peggioramento della bocca con la comparsa di fastidi, dolori ed infine alla perdita degli elementi dentari stessi ma anche ad un significativo aumento del rischio di sviluppare patologie sistemiche quali diabete, osteoporosi, patologie cardiovascolari, complicanze in gravidanza e altre.

La ricerca ha ormai evidenziato come il mantenimento di un corretto livello d’igiene orale sia sufficiente a prevenire l’insorgenza di carie, patologia del dente, e delle infezioni parodontali, che colpiscono i tessuti di supporto e possono portare come ultimo termine alla caduta degli elementi dentari stessi. A questo fine dobbiamo adottare due strategie molto semplici: pulire correttamente i denti a casa ed eseguire periodiche sedute di controllo e igiene orale professionale.

Effettuare adeguate ed efficaci manovre d’igiene orale domiciliare è tutt’altro che scontato, in quanto ogni bocca è diversa e la conoscenza degli strumenti e delle tecniche per utilizzarli non è innata, ma va acquisita tramite l’aiuto dei professionisti del settore ossia i dentisti e gli igienisti dentali, che hanno tra i loro compiti quelli di effettuare la “motivazione igienica” ossia di insegnare ai propri pazienti il come ed il perché dell’igiene orale domiciliare.

Il nemico numero uno da sconfiggere è la placca batterica, in quanto non esiste carie o parodontopatia senza la presenza di placca e quindi di batteri.

Subito dopo aver pulito i denti si deposita sulle superfici la “pellicola acquisita” formata da proteine della saliva che col tempo viene colonizzata dai batteri che col tempo si riproducono formando colonie.

La placca indisturbata in primo luogo si accumula nelle zone interprossimali molari, ossia tra i denti posteriori. Poi va a colonizzare le zone tra dente e dente anteriori e le superfici rimaste dei denti molari, finendo in ultimo sulle zone vestibolari (davanti) e palatali/linguali (dietro) dei denti anteriori (incisivi e canini). Se lasciata ancora indisturbata la presenza di sali di calcio e fosfato nella saliva la fa calcificare trasformandola in tartaro, che va rimosso con mezzi professionali.

Nonostante la ricerca e le tecnologie siano molto avanzate, per rimuovere correttamente la placca bisogna basarsi innanzitutto sui mezzi meccanici in quanto quelli chimici (dentifrici, collutori, vernici, spray) non la rimuovono in maniera completa ed efficace.

Le superfici da pulire sono quindi i denti, sui quali useremo lo spazzolino, le zone interdentali, che andranno pulite grazie a specifici prodotti, ed infine la lingua, ricettacolo di batteri causa spesso dell’alito cattivo.

In aggiunta all’igiene orale meccanica (in sostituzione solo in pochi e selezionati casi) sarà possibile usare prodotti chimici come dentifrici e collutori.

La placca va rimossa completamente almeno 2 volte al giorno al fine di evitare la comparsa di problematiche gengivali e/o dentarie.

Indicazioni su una corretta igiene orale domiciliare

La base dell'igiene orale è data dalla rimozione meccanica della placca e dalla combinazione dell'uso dello spazzolino con i vari strumenti di igiene interdentale che verranno indicati dall'esperto che vi effettuerà la motivazione igienica. Le manovre vanno eseguite almeno due volte al giorno, possibilmente 3, ossia dopo i pasti principali.

Lo spazzolino, che può essere elettrico o manuale a seconda delle preferenze personali e dalle indicazioni professionali, va utilizzato per almeno 2 minuti (lo spazzolino elettrico ha il vantaggio di avere un timer che assicura i corretti tempi d'utilizzo). Riguardo allo spazzolino manuale è indicato un modello ergonomico di buona qualità, con setole medio-morbide, testina piccola e possibilmente con profilo “a schiena d'asino”. Lo spazzolino oppure la testina dello spazzolino elettrico vanno sostituiti almeno ogni 3 mesi o quando gli indicatori d'utilizzo raggiungono il limite.

Ora verranno date indicazioni conclusive sui presidi da usare a seconda del profilo a cui si appartiene.

PARODONTO SANO

  • Spazzolino manuale od elettrico
  • Filo interdentale
  • Nettalingua
  • Rilevatore di placca, una volta a settimana

GENGIVITE

  • Spazzolino manuale od elettrico
  • Filo interdentale spugnoso
  • Nettalingua
  • Rilevatore di placca, due volte a settimana (una prima del lavaggio e una dopo come controllo)

PARODONTITE

  • Spazzolino manuale od elettrico
  • Scovolini della misura giusta (di solito almeno 2 misure)
  • Nettalingua
  • Rilevatore di placca, tre volte a settimana
  • Idropulsore e/o massaggiatore gengivale su indicazioni dell'igienista.

PRESENZA DI PROTESI E/O IMPIANTI

  • Spazzolino manuale od elettrico
  • Scovolini e filo specifico
  • Idropulsore
  • Nettalingua
  • Rilevatore di placca, due volte a settimana (una prima del lavaggio e una dopo come controllo)

Nonostante la base dell'igiene orale sia da attuare con strumenti meccanici indicati, per completare e migliorare la rimozione di placca e per ridurre l'infiammazione gengivale vengono in aiuto i dentifrici ed i collutori.

Il dentifricio è senz'altro il prodotto chimico di igiene orale più utilizzato ma bisogna considerare che agisce fondamentalmente sui denti e che i batteri si concentrano per l'80% nel resto della bocca e della lingua. Per questo motivo il collutorio possiede una maggiore azione su lingua, mucose orali, saliva e spazi interprossimali rispetto al dentifricio, con evidenti vantaggi. Va inoltre ricordato che spesso la bocca viene risciacquata con acqua o collutorio dopo lo spazzolamento con dentifricio, riducendo quindi in maniera importante la sua efficacia.

Nonostante questo preambolo i dentifrici più efficaci in ambito parodontale sono quelli a base di Triclosan + copolimero Gantrez. Deve essere presente una buona percentuale di fluoro per la prevenzione delle carie e deve essere a bassa abrasività per ridurre il rischio di lesioni autoindotte come le abrasioni dentarie.

Durante la terapia parodontale professionale, ma solo su prescrizione medica e comunque per una durata non superiore al mese continuativo, è possibile utilizzare un dentifricio a base di clorexidina a bassa concentrazione per limitare gli effetti collaterali.Inoltre bisogna tenere conto che che questa molecola è inattivata dal Sodio Lauril Fosfato, molecola contenuta in moltissimi dentifrici e per questo motivo, qualora venga prescritta, bisogna tener conto di questa interazione nella scelta del dentifricio.

La clorexidina è la molecola antibatterica più attiva ed efficace verso i batteri parodontali e per questo motivo la più utilizzata e prescritta in ambito parodontale o post-chirurgico. I collutori contententi clorexidina posso contenere o meno alcool, che serve a veicolare la molecola attiva, ed essere nelle concentrazioni di 0,12% o 0,20%.

La presenza di alcool non deve preoccupare in quanto non esiste correlazione con tumori del cavo orale o secchezza della bocca. Riguardo alla concentrazione, è egualmente efficace in entrambe le concentrazioni e per questo motivo è consigliabile la concentrazione più bassa per ridurre gli effetti collaterali legati a questa molecola.

Infatti, nonostante l'efficacia sia comprovata da moltissimi anni, la clorexidina presenta importanti effetti collaterali soprattutto se l'uso ad alte concentrazioni si persegue per una durata superiore alle 3 settimane. Gli effetti collaterali più frequenti sono la comparsa di pigmentazioni brunastre su denti e lingua e alterazione del gusto.

Al fine di ridurre la pigmentazioni alcune case produttrici hanno studiato, con successo, alcune molecole aggiuntive anti-colorazione. Per questo motivo i collutori con clorexidina vanno usati solo con prescrizione odontoiatrica e bisogna rispettare i tempi ed i periodi d'utilizzo indicati dall'odontoiatra curante. Gli sciacqui devono essere di 1 minuto e dopo lo sciacquo bisogna avere l'accortezza di non mangiare né bere per almeno 2 ore al fine di prolungare l'efficacia.

Nel controllo dell'infiammazione parodontale un altro principio attivo molto utile è l'ibuprofene, molecola antinfiammatoria che viene spesso prescritta durante terapia parodontale attiva, con utilizzo complementare all'azione antibatterica esercitata dalla clorexidina.

Oltre ai collutori ad uso intensivo da utilizzare su prescrizione durante la terapia parodontale numerosi sono quelli presenti sul mercato da utilizzare giornalmente.

I più efficaci e consigliati, sempre in pazienti con problematiche gengivali presenti o passate, sono quelli a base di oli-essenziali, quelli con clorexidina a bassissime concentrazioni (0,05%) oppure l'acqua ossigenata al 3%, che producendo appunto ossigeno vanno ad uccidere i batteri parodontopatogeni, che hanno la caratteristica di essere anaerobi e quindi di vivere in assenza di ossigeno.

Istruzioni di Igiene Orale

Lo spazzolino da denti manuale

Lo spazzolino da denti manuale e’ il più’ antico ed efficace strumento a nostra disposizione per un’impeccabile igiene orale quotidiana a patto di conoscere ed applicare la tecnica più’ indicata per “spazzolare i denti” .

Le prime tracce sull’utilizzo dello spazzolino da denti risalgono già al 3000 a.C. in cui venivano utilizzati bastoni da masticare con il terminale sfilacciata, usanza che si è mantenuta tutt’oggi soprattutto nel mondo arabo ed indiano, dove è comune l’utilizzo appunto di bastoncini da masticare. Il primo spazzolino industriale in serie venne prodotto nel lontano 1780 da William Addis d’Inghilterra che lo inventò in prigione facendo passare delle setole in un osso forato ed incollandole. Il brevetto avvenne nel 1857 ed è di stampo americano a cura di H.N. Wadsworth ma dobbiamo attendere il 1885 per la produzione di massa. Era composto da un manico di osso in cui erano inserite in punta dei peli di cinghiale siberiano.

Infine il 24 febbraio 1938 venne venduto per la prima volta uno spazzolino con setole di fibra sintetica ossia nylon, messo a punto da Du Pont.

In commercio esistono numerosissimi spazzolini da denti, che si differenziano tra di loro nelle caratteristiche di manico, testina e setole. Il manico deve essere ergonomico e ben impugnabile col palmo della mano. Può essere utile la presenza di un manico allungato per raggiungere le zone più posteriori del cavo orale. Sono inoltre da preferire quelli fatti di materiale antiscivolo e con delle zone di “grip” per facilitare l’impugnatura.

La testina può essere di numerose forme e dimensioni ed è da preferire un modello che non comprenda più di due elementi dentari contemporaneamente. Secondo le indicazioni dell’ADA (American Dental Association) la testina, per essere accettabile, deve avere una lunghezza tra i 25,4 ed i 31,8 mm e una larghezza variabile tra i 7,9 e i 9,5mm. Devono essere presenti tra le 2 e le 4 file di setole ed ogni fila deve contenere tra i 5 e i 12 ciuffi.

Il “cuore” dello spazzolino è dato dalle setole, che sono effettivamente la parte pulente a contatto con gli elementi dentari. Le setole sono ormai unicamente sintetiche e devono essere il più possibile arrotondate ed uniformi. La dimensione della setola va a determinare la “durezza” dello spazzolino stesso, che può essere morbido, medio o duro. Il diametro di 0,20-0,25 mm va a codificare una durezza media.

Al fine di evitare danni a tessuti dentali e gengivali, sono da preferire spazzolini morbidi o a media durezza. L’utilizzo di setole morbide, che sono più flessibili, permette una maggiore pulizia delle zone tra dente e dente e dei solchi gengivali.

L’utilizzo invece di setole dure è maggiormente associato alla comparsa di lesioni dentali dette abrasioni anche se nell’eziologia di queste ha un ruolo maggiore la tecnica di spazzolamento e l’abrasività del dentifricio.

La ricerca scientifica nell’ambito degli spazzolini da denti si sta sempre più dirigendo nell’evoluzione del design delle testine in termini di forma, distribuzione ed orientamento delle setole.

Attualmente sono identificabili tre tipi di design principali: classico, ad “u” e a schiena d’asino.

Uno spazzolino da denti manuale deve avere :

  • Un manico dritto od ergonomico;
  • Una testa non troppo grande per poter raggiungere tutte le superfici dei denti; la lunghezza della testina dovrebbe essere intorno ai 3 cm per l’ adulto e di 1,5 cm per il bambino.
  • Setole sintetiche, di altezza omogenea e durezza media o morbida

L’utilizzo di uno spazzolino con profilo a schiena d’asino è particolarmente utile nello spazzolamento con tecnica di Bass modificata, una delle tecniche più diffuse in quanto semplice da apprendere ed efficace nella pulizia dei solchi gengivali. Infatti questo design permette il manti mento di un angolo di 45° come richiesto dalla tecnica stessa.

In letteratura sono documentate numerose tecniche di spazzolamento ma non è stata dimostrata una netta superiorità di una tecnica rispetto ad un’altra. Nei pazienti affetti da patologia parodontale è comunque da consigliare una tecnica di tipo sulculare e vibratoria per migliorare l’accesso dello spazzolino nell’area gengivale. E’ comunque importante sottolineare come la forza nello spazzolamento non sia critica nella quantità di placca rimossa in quanto è ben più fondamentale la tecnica!

La tecnica di Bass è in media la più diffusa e presenta due vantaggi fondamentali rispetto alle altre due tecniche: il movimento vibratorio “avanti-indietro” è semplice da imparare e l’azione pulente viene concentrata nelle aree del solco gengivale e tra dente e dente, che sono quelle principali di accumulo microbico.

FASE I

Si inizia appoggiando lo spazzolino a 45° gradi con le setole dirette verso la gengiva, partendo dai denti molari.

Con una moderata pressione, effettuare circa 20 movimenti brevi “avanti-indietro” vibratori.

Al termine dei movimenti, mantenendo la pressione, ruotare lo spazzolino verso le “punte dei denti”..

Ripetere i primi 3 passaggi sui denti successivi completando l’arcata superiore, davanti e dietro, e quella inferiore, davanti e dietro.

FASE II

Per pulire efficacemente le zone linguali e palatali dei denti anteriori lo spazzolino va appoggiato verticalmente a 45° effettuando movimenti rapidi vibratori.

FASE III

Al termine della fase I e II vanno pulite le superfici masticatorie dei molari e premolari, appoggiando con forte pressione lo spazzolino sui denti ed effettuando uno spazzolamento orizzontale con movimenti brevi “avanti-indietro”.

Lo spazzolamento dei denti va eseguito almeno una volta al giorno anche se molti studi dimostrano come chi spazzola più di una volta al giorno ha un rischio ridotto del 50% della perdita dei denti rispetto a chi spazzola meno. Per completare un ciclo completo di spazzolamento servono almeno due minuti e può essere utile l’utilizzo di un timer. Uno studio molto interessante dimostra come su richiesta di spazzolamento per 2 minuti senza timer, il tempo medio sia di soli 37 secondi, decisamente insufficiente per rimuovere abbastanza placca.

L’efficacia nella rimozione della placca dello spazzolino pare non essere alterata fino a 9 settimane di utilizzo ed è quindi buona norma sostituirlo almeno ogni 3 mesi. Nell’arco di questo periodo infatti la conformazione delle punte delle setole cambia e questa alterazione riduce la capacita’ dello spazzolino di eliminare la placca. Attualmente è spesso presente all’interno delle setole un indicatore di usura (setole colorate che con l’usura si decolorano), molto utile per indicare quando lo spazzolino ha perso la sua efficacia.

Inoltre l'uso continuo di spazzolini con setole usurate comporta un aumentato rischio di sviluppare le recessioni gengivali ovvero zone in cui la gengiva appare “ritirata” rispetto la sua sede originaria.

Spazzolino Elettrico

Il primo spazzolino a movimento meccanico della storia venne ideato da un orologiaio svedese di nome Tornberg ne 1885. (foto).

Nel 1954 invece venne lanciato sul mercato Broxodent, il primo spazzolino elettrico ricaricabile senza filo, che era indicato nei portatori di Handicap e in quelli impossibiliti ad effettuare una corretta igiene orale.

Attualmente sul mercato sono disponibili due grandi tipologie di spazzolini elettrici: quelli a tecnologia sonica e quelli con movimento oscillante-rotante.

Data la progettazione per utilizzare correttamente lo spazzolino elettrico è sufficiente concentrarsi sul posizionare la testina su ogni singola superficie del dente lasciandola agire. L’unica cosa da ricordare è di pulire OGNI superficie. Ad esempio è consigliabile di lasciar agire la testina per 2 secondi per ogni superficie, applicando una pressione moderata.

Da quando sono stati introdotti è aperta una diatriba senza fine sulla supposta superiorità dello spazzolino elettrico rispetto a quello manuale mentre d’altro canto erano emersi allarmi, infondanti, sulla pericolosità degli spazzolini elettrici.

I vantaggi che sono riconducibili allo spazzolino elettrico rispetto al manuale sono:

  • La testina si muove da sola, indipendentemente dalla tecnica.
  • Lo spazzolino oscillante-rotante ha delle testine più piccole, con profilo ad U, che si adattano al singolo dente
  • Richiedono una minima manualità da parte dell’utilizzatore

Molti modelli possiedono indicatori di pressione e timer, utili per monitorare lo spazzolamento, soprattutto in termini di tempo d’utilizzo.

Ma lo spazzolino elettrico è veramente più efficace del manuale nella rimozione della placca e nel miglioramento degli indici d’infiammazione gengivale?

La ricerca dimostra come lo spazzolino sonico, rispetto al manuale e a quello oscillante-rotante, sia meno efficace nella rimozione di placca ma simile nel miglioramento del sanguinamento gengivale.

Invece uno studio della Cochrane del 2009 ha mostrato come gli spazzolini con tecnica oscillante rotante diano risutati lievemente migliori nel breve tempo d’utilizzo rispetto al manuale.

Concludendo l’efficacia è praticamente uguale allo spazzolino manuale ed è più importante quindi la tecnica di spazzolamento ed il tempo d’utilizzo.

Lo spazzolino elettrico rimane quindi indicato in pazienti portatori d’Handicap, in quelli con apparecchio ortodontico e in chiunque trovi difficoltà nel corretto utilizzo dello spazzolino manuale.

Oggi nel mercato sono disponibili numerosissimi tipi di spazzolini elettrici che differiscono per forma , prezzo , dimensioni della testina , tipo di setole , meccanismo di funzionamento, velocita’ e design.

Nonostante le innumerevoli varieta’ di spazzolini elettrici, la maggior parte di essi e’ costituita essenzialmente da due parti ben distinte :

Testina dello spazzolino elettrico munita di setole che roteano , vibrano ed oscillano ad una certa frequenza . La testina dovrebbe essere composta di setole flessibili in nylon per una migliore efficacia di lavaggio. Dopo un paio di mesi di uso continuato , la testina si deteriora e va sostituita perche’ perde efficacia .

Corpo dello spazzolino elettrico : contiene un motore che , collegato alle batterie di alimentazione , trasmette alla testina sovrastante il movimento oscillatorio / rotatorio .

Per un corretto utilizzo dello spazzolino da denti elettrico si deve :

- bagnare la testina ed applicare il dentifricio con moderazione ( usare troppo dentifricio puo’ creare schiuma in eccesso e portare ad interrompere il lavaggio prima del tempo )

- suddividere la bocca in quattro zone : parte superiore , destra e sinistra , e parte inferiore destra e sinistra . Si inizia dalla parte superiore , posizionando lo spazzolino all’ attaccatura tra dente e gengiva con la testina rivolta a 45° verso la gengiva .

Premere con delicatezza e muovere lo spazzolino in piccoli cerchi passando da un dente all’ altro lasciando indicativamente agire lo testina per 2 secondi per superficie; dedicare almeno 30 secondi a ciascuna zona passando lo spazzolino sull’esterno di ciascun dente , sul lato interno , sulle superfici occlusali masticatorie e tra dente e dente.

L’ intera procedura di spazzolamento dovrebbe durare dai due ai tre minuti.

Conclusioni sullo spazzolamento

Siamo ora giunti a conclusione dell’analisi dello spazzolino da denti, strumento fondamentale per una corretta igiene orale ma insufficiente, in quanto seppure correttamente eseguito è capace di rimuovere solo il 50% della placca, lasciando praticamente indisturbata quella presente nelle zone interprossimali, ossia tra dente e dente, che sono le prime ad essere colonizzate dalla placca noncè quelle soggette ad insorgenza delle problematiche parodontali.

La pulizia di queste zone diventa ancora più critica nei pazienti affetti da patologie parodontali poiché le gengive son spesso gonfie e quindi i meccanismi di auto-pulizia sono ridotti rispetto ai pazienti sani. In parodontiti più avanzate inoltre la presenza di riassorbimento osseo e recessioni lasciano esposte le radici mostrando concavità e formazioni difficili da pulire col solo spazzolino.

Al fine di pulire le zone interdentali abbiamo a disposizione numerosi strumenti tra i cui i principali sono:

  • Filo Interdentale
  • Scovolini
  • Tip Gengivale
  • Idropulsore

Filo Interdentale

Il filo interdentale è un insostituibile ausilio domiciliare per una buona igiene orale quotidiana ed è lo strumento di pulizia interdentale più diffuso e raccomandato, soprattutto nei pazienti con parodonto sano. In commercio esistono vari tipi di filo:

-Filo interdentale cerato: lo strato di cera presente sulle fibre del cordoncino fornisce durata e resistenza durante la sua applicazione. è indicato per quelle persone che presentano depositi di tartaro od irregolarità dentali (es. affollamento dei denti o denti storti).

- Filo interdentale non cerato: ha un calibro minore rispetto all’altro tipo e lo rende più adatto a spazi ristretti ed accessibili con difficoltà. Privo di cera, per effetto della pressione, tende a schiacciarsi avendo così maggiore adesione alla superficie e quindi una pulizia più accurata.

-Filo interdentale a fiocchi (Superfloss) : composto da una parte più rigida, che permette l’inserimento tra dente e dente, una parte spugnosa che a contatto con la saliva si allarga permettendo la detersione delle superfici e una parte finale simile al filo interdentale comune. Questo filo è indicato principalmente per pulire ponti, corone, o le superfici di denti in trattamento ortodontico.

Modalità d’utilizzo

Deve essere utilizzato in maniera corretta altrimenti può provocare danni alle papille gengivali, quindi è importante la scelta del filo ma soprattutto il calibro con cui sarà utilizzato.

Si consiglia di utilizzarlo almeno una volta al giorno:

1) Deve essere staccato dal suo astuccio, con l’apposito taglierino, un segmento lungo 30-40cm;

2)  Si avvolge sui due medi, in modo che i pollici e gli indici possano renderlo teso in modo da scorrere senza danno nello spazio tra dente e dente;

3) Con estrema delicatezza, oltrepassato il punto di contatto, si va a rimuovere la placca prima sulla superficie di un dente e con lo stesso movimento si va a detergere anche quella dell’altro dente;

4) Si passa poi agli altri spazi interprossimali, facendo attenzione a non usare la parte di filo già utilizzata.

5) Si inizia dai denti posteriori terminando con i molari del lato opposto

 Ultimo passo è quello di risciaquare la bocca con un collutorio

Si consiglia anche, ogni tanto, di annusare il filo dopo averlo passato, soprattutto dopo averlo usato tra alcuni denti dove si spezza o si sfilaccia: un cattivo odore può essere segno di carie! In questo caso, contattata il dentista per valutare l’eventuale presenza di problemi.

Tutte le tipolgie sono egualmente efficaci nella rimozione della placca e la scelta è quindi basata sulle preferenze personali e su alcuni fattori che possono essere la durezza dei punti di contatto tra i denti, la semplicità d’uso, la ruvidità delle superfici, la presenza di manufatti protesici o impianti.

I fili di ultima tecnologia, ossia di tipo spugnoso, sono di particolare interesse in quanto espandendosi a contatto con la saliva garantiscono una maggiore superficie di contatto con le superfici dentali.

Presentandosi come un sottile cordoncino, alleato di spazzolino, dentifricio e collutorio, rimuove efficacemente residui di cibo e placca tra dente e dente; inserito nello spazio interdentale con una pressione leggera, pulisce pienamente le due superfici dentali.

Infatti lo spazio che si trova tra dente e dente risulta essere una zona critica dove il cibo trova facile ristagno e questo può rappresentare un punto di inizio di carie e tasche parodontali.

L’efficacia del filo interdentale nel miglioramento degli indici gengivali e di placca non è così significativa rispetto al solo spazzolamento, quindi è indicato solamente nei pazienti con parodonto sano o quando gli altri strumenti di igiene interdentale più efficaci, come gli scovolini, non sono utilizzabili.

Discorso a parte riguarda l’utilizzo dei fili interdentali disegnati per la pulizia di manufatti protesici ed impianti che essendo a superficie spugnosa sono efficaci nel loro utilizzo.

Archetti (Mini Flosser)

Altri ausili utilizzati, che possono sostituire il filo interdentale sono gli archetti; risultano per molti pazienti più pratici da utilizzare. La loro struttura ad Y, costituita da due asticelle, permette l’inserimento del filo ben teso tra i denti.

Il mini flosser, così comunemente chiamato, può essere utilizzato svariate volte, ed è consigliato usarlo negli spazi interdentali più stretti. Va sostituito quando si rompe o si sfilaccia.

Modalità d’Utilizzo

Con una leggera pressione, oltrepassare il punto di contatto; muovendo delicatamente il filo interdentale lungo la superficie del dente fino a raggiungere la gengiva. Ripetere sull'altra superficie del dente. Rimuovere il filo interdentale facendolo scivolare fuori con un movimento alternato

 

Scovolini Interdentali

Gli scovolini interdentali sono sicuramente gli strumenti più adatti ed efficaci nella rimozione di placca nei pazienti con spazi interdentali ampi. Il filo interdentale in questi casi è inefficace in quanto la presenza di concavità e/o forcazioni non permettono al filo stesso di rimuovere tutta la placca intrappolata.

In commercio esistono numerosissime tipologie di scovolini, che si differenziano principalmente in due categorie: quelli con testina fissa e quelli con testina intercambiabile. Si tratta di uno strumento simile ad uno spazzolino, con testina cilindrica o conica: quest’ultima presenta un'anima centrale in metallo semi-flessibile, in cui vi sono incastonate setole di differente lunghezza e spessore.

Il punto di forza di questi strumenti è sicuramente la varietà di forme e dimensioni delle testine, che permettono, con una giusta scelta, di pulire efficacemente tutti gli spazi interdentali.

Quindi la chiave di volta sta nella scelta dello scovolino stesso, che deve essere di diametro leggermente più ampio dello spazio da pulire, al fine di esercitare una lieve pressione sulle superfici dentali ed entrare nelle eventuali concavità. Nei pazienti affetti da parodontite possono essere necessari 2 o 3 scovolini diversi per pulire tutti gli spazi.

E’ quindi necessario rivolgersi al proprio dentista o igienista di fiducia per ottenere istruzioni in merito.

 

Modalità d’Utilizzo

Lo scovolino va utilizzato esercitando movimenti orizzontali (avanti e indietro) negli spazi interdentali, eventualmente intingendolo prima in un gel a base di clorexidina, oppure, per i naturopati, molto indicato è un mix di oli-essenziali di tea-tree e timo bianco. Da segnalare come alcuni scovolini in commercio hanno speciali setole pre-impregnate di clorexidina.

È importantissimo scegliere lo scovolino in base allo spessore dello spazio tra dente e dente per evitare che sia inefficace e/o di forzare troppo il solco gengivale, creando inutile sanguinamento o gonfiore. Per questo motivo, si consiglia di delegare la scelta della misura dello scovolino-filo interdentale all’igienista dentale, che tramite la mappa consiglierà quale colore , e quindi misura, usare per ogni spazio interdentale.

Dopo averlo usato si sciacqua bene e si asciuga, rimettendo il coperchietto. Quando è troppo rovinato va sostituito, per evitare di danneggiare i tessuti.

 

Rilevatori di Placca

La placca è una sostanza praticamente invisibile e per questo motivo, soprattutto all'inizio del percorso di motivazione igienica, può essere difficile da identificare e da rimuovere correttamente.

Per chi non lo sapesse la placca è quella patina opalescente che si deposita sui denti, frutto dell'adesione di batteri e proteine salivari. Questa patina batterica è particolarmente lesiva per i denti, tanto da promuovere e sostenere carie, gengiviti e parodontiti.

Per questo motivo occorre provvedere alla rimozione della placca mediante un corretto utilizzo di spazzolino, filo interdentale, scovolini e idropulsore. Il problema è che la placca è trasparente e quindi è spesso difficile essere sicuri della completa rimozione della stessa.

Per questo motivo risulta molto utile colorarla grazie a dei presidi chiamati rilevatori di placca. Sono delle sostanze disponibili in compresse che sono capaci di colorare la placca ed il tartaro presente su denti e tessuti molli.

 

La composizione del rivelatore di placca consiste in un colorante, come l’eritrosina, che ha il compito di colorare la placca, e in un aroma, per rendere più gradevole il processo di colorazione.

L'utilizzo dei rilevatori di placca è veramente importante durante le prime settimane di terapie in quanto permette di verificare ed ottimizzare le manovre di igiene orale che l'igienista o l'odontoiatra vi ha mostrato. E' anche possibile utilizzare il rilevatore di placca dopo le manovre di igiene orale al fine di verificare l'efficacia delle manovre stesse. Altri consigli sono di utilizzare questi presidi quando si pensa di stare a casa per qualche ora dato che macchiano lingua e labbra e di pulire immediatamente il lavello in quanto se lasciati per qualche tempo a contatto con la ceramica la rimozione diventa difficile.

I rivelatori di placca vengono appunto in aiuto e si trovano in commercio generalmente sotto forma di compresse masticabili, o liquidi da spennellare sui denti.

Rappresentano un valido e comodo ausilio per testare la nostra bravura, o evidenziare le zone in cui non arriviamo con le setole del nostro spazzolino, creando un metodo per imparare a pulire la propria bocca in modo impeccabile con gli strumenti a nostra disposizione. L’obiettivo infatti diventa uno solo: togliere tutto il colore!

Per utilizzarli correttamente la pasticca va sciolta in bocca, passando la lingua su tutte le arcate dentarie. Successivamente bisogna sputare i resti nel lavandino e va risciacquata energicamente la bocca con acqua. Completata questa manovra vedrete sulle superficie dentali delle zone più o meno colorate. A questo punto l'obiettivo diventa di rimuovere, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, le zone rosse e quindi la placca presente.

Si possono usare in qualsiasi momento della giornata, ma per monitorare con costanza l’igiene orale domiciliare si consiglia di usarli 2 volte a settimana per un mese:

A inizio settimana usare il rivelatore per evidenziare la placca e poi rimuoverla attraverso i vari ausili;

A metà/fine settimana effettuare prima l’igiene orale al meglio e con tutti gli ausili e poi verificare attraverso il rivelatore di aver rimosso tutta la placca, o in caso contrario le zone in cui bisogna diventare più bravi.

Si può ripetere il procedimento nelle settimane successive (di solito per un mese) fino al raggiungimento di una tecnica di igiene orale perfetta.

 

Lavaggi Endotasca

Questo tipo di tecnica è molto innovativa e permette di migliorare la disinfezione delle tasche parodontali, guidandole verso la guarigione. Il lavaggio viene effettuato iniettando, con un aghetto atraumatico da noi fornito, una piccola quantità di liquido disinfettante direttamente nella tasca.

Così facendo si ha la certezza di pulire a fondo e di disinfettare le zone in cui lo spazzolino e gli altri strumenti non possono arrivare.

I liquidi che possiamo utilizzare per riempire la siringa sono:

  • Gel alla Clorexidina ad alta concentrazione Chx 0,5%
  • Acqua ossigenata 10 vol 3% (quella acquistabile al supermercato)

La procedura per effettuare questo lavaggio in maniera efficace e sicura è:

  • Versare 1 dito di liquido disinfettante in un bicchierino e aspirarlo con la siringa, da cui abbiamo fatto uscire tutta l’aria
  • Se non è presente innestare l’aghetto atraumatico
  • Individuare la tasca precedentemente indicata dal dottore in studio seguendo la mappa
  • Con una piccola pressione sullo stantuffo iniettare il liquido disinfettante fino a quando non lo vediamo uscire dalla tasca (ne basta davvero poco). Va inserito con delicatezza nella tasca stessa fin dove è passivo. Se la tasca fa resistenza vuol dire che sta iniziando a migliorare!
  • Eliminare l’eccesso ma non risciacquare
  • Se necessario ripetere lo stesso procedimento per le restanti tasche.

Si può effettuare questo tipo di lavaggio anche se ci si accorge di un gemizio di pus o di sangue proprio in corrispondenza di una tasca.

In questo caso si consiglia di fare lavaggi endotasca per 5 gg, e se il sintomo persiste rivolgersi al proprio responsabile di trattamento.

 

Idropulsore

L’idropulsore o doccia orale sfrutta l'azione pulente di un getto d'acqua pulsante generato da una pompa indirizzato dall'utilizzatore lungo il solco gengivale e lo spazio interdentale.

Gli idropulsori sono degli strumenti che spruzzano un getto d’acqua in pressione, continua o intermittente, sulle superfici dentali. Possiamo così usare l’azione atraumatica del getto d'acqua per pulire le zone più anguste fra dente e dente, dove lo spazzolino non riesce ad arrivare oppure gli spazi intermedi di un ponte.

Sono particolarmente indicati in pazienti con difficoltà nelle corrette manovre standard di igiene orale oppure nelle persone con protesi fisse (ponti e/o impianti) o con apparecchio ortodontico.

Gli idropulsori vanno utilizzati al termine dello spazzolamento e delle manovre di igiene interdentale, per togliere gli eventuali ultimi residui di placca. Oltre all’acqua è possibile utilizzare miscele con acqua ossigenata o con collutori a base di clorexidina.

Un ulteriore utilizzo può essere nei pazienti con parodontite e grossi spazi interdentali. In questo caso un consiglio può essere utilizzarlo prima dello spazzolamento e al termine di tutte le manovre meccaniche. Con questa modalità aiuta a scompaginare la placca in primis e successivamente a rimuovere i residui lasciati accidentalmente dai vari strumenti interdentali.

Fondamentale è però considerare l’idropulsore solo come un ausilio e non come sostitutivo di spazzolino e scovolini.

Ma adesso vediamo come usare l’idropulsore:

  • Riempire il serbatoio con acqua tiepida e inserire una punta nel manipolo.
  • Regolare la pressione ( Impostare la pressione dell'acqua al livello più basso la prima volta che lo usi, si può poi regolarla in modo da pulire senza provare alcun fastidio sulla gengiva.).
  • Avvicinarsi al lavandino, posizionare la punta in bocca e socchiudere le labbra in modo da evitare gli spruzzi, ma consentire all’acqua di fluire liberamente dalla bocca al lavandino.
  • Accendere il dispositivo.
  • Iniziare dai denti posteriori e soffermarsi alla base dei denti e in ogni spazio tra un dente e l’altro, dirigendo la punta appena sopra il bordo gengivale con un’angolazione di 90°.
  • Terminata l'operazione, spegnere il dispositivo e premere sul pulsante di espulsione per rimuovere la punta.

Se l’azione dell’idropulsore dovesse dare fastidio possiamo provare ad abbassare la potenza dello strumento, oppure si può provare inserendo nel serbatoio dell’acqua leggermente più calda. Si può anche usare un po di collutorio insieme all’ acqua ma vista la forte diluizione il suo è puramente cosmetico, cioè semplicemente quello di lasciare un buon sapore in bocca.

 

Pulizia della Lingua

La lingua è la parte del cavo orale con il maggior numero di batteri. Nonostante questo, molte persone non si preoccupano di pulirla. La pulizia della lingua è particolarmente utile per combattere l’alitosi.

Pulendo la lingua:

  • Si tiene sotto controllo i batteri nocivi che contribuiscono alla carie dentale;
  • Si combatte l'alito cattivo;
  • Si migliora il senso del gusto.

Esistono diversi attrezzi che permettono di pulire la lingua. I raschietti sono i più comuni, ma anche gli spazzolini, sebbene siano più recenti, hanno una diffusione relativamente ampia. I "nettalingua" sono degli strumenti ampiamente disponibili e presentano delle morbide increspature che vanno strofinate sulla lingua.

Sia gli spazzolini che i nettalingua sono ugualmente efficaci nella pulizia della lingua.
Secondo noi la scelta migliore ricade su uno strumento con sia lo spazzolino che un raschietto.

Come pulire la lingua

Allungare la lingua fuori dalla bocca. In questo modo ha accesso a tutta la sua lunghezza. Deve pulire la maggiore superficie possibile. Estendendola all'esterno limiti anche i conati di vomito.

Raschiare o spazzolare la lingua dalla parte posteriore verso quella anteriore. Ripeti questo movimento più volte.

Lo strumento si riempirà di residui. Risciacquare e continuare la pulizia finché non avrà trattato tutta la superficie della lingua;

Risciacquare la bocca. Usare un collutorio e risciacquare accuratamente il cavo orale per eliminare ogni residuo e rinfrescare l'alito.Cercare di muovere il liquido in tutta la bocca per essere sicuro che la lingua venga lavata completamente.

Si raccomanda di pulire la lingua almeno due volte al giorno, approfittando del momento in cui ci si lava i denti.

 

Approfondimento sull’igiene orale domiciliare

I fattori principali che possono avere un impatto sulla placca sottogengivale sono essenzialmente i tessuti gengivali e la placca sopragengivale.

La rimozione meticolosa della placca sopragengivale porta infatti ad una riduzione dell’infiammazione gengivale; inoltre, numerosi studi hanno analizzato le variazioni di composizione della placca sottogengivale in seguito ad una efficace rimozione di quella sopragengivale. Queste ricerche sono basate su rigidi programmi di igiene professionale che hanno evidenziato come la rimozione della placca sopragengivale porti a significativi benefici sulla composizione della placca sottogengivale (flora microbica simile a quella osservata in un stato di salute parodontale) e sui parametri clinici di infiammazione gengivale. E’ quindi spiegato come la perfetta rimozione della placca sopragengivale con gli strumenti di igiene domiciliare sia fondamentale per la salute dei tessuti gengivali.

Il gruppo di ricerca di Haffajee nel 2001 ha valutato, su 48 pazienti in terapia di mantenimento parodontale, l’influenza delle manovre di igiene orale domiciliare sui parametri parodontali microbiologici e clinici in ambito sottogengivale. Dopo 6 mesi di follow-up è stato evidenziato come le conte medie totali dei batteri siano significativamente ridotte, così come i parametri clinici quali profondità di sondaggio, indice di placca e sanguinamento al sondaggio .

Anche altri studi clinici, come quello di Hellstrom et al. o quello di Dahlen & collaboratori, giungono alla conclusione che il controllo della placca sopragengivale porta alla variazione della flora sub gengivale, anche se va ricordato come questa influenza avvenga solamente in tasche parodontali di profondità lieve o moderata (fino a 5mm).

E’ importante sottolineare anche come la presenza di gengivite porti ad un maggior accumulo di placca e come gli antimicrobici non siano efficaci oltre i 3mm di tasca. Infatti il rinnovamento del fluido crevicolare di circa 40 volte all’ora porterà alla rapida diluizione degli antisettici applicati a livello sub-gengivale . Questo dato è importante per comprendere come i collutori da soli non possano fornire un beneficio terapeutico nel trattamento della parodontite.

Concludendo, risulta chiaro come il mantenimento di elevati livelli di igiene orale da parte dei pazienti sia fondamentale al fine di ridurre i livelli di placca e di gengivite.

Ciò è stato anche confermato da uno studio con 30 anni di follow-up pubblicato da Axellson nel 1994, che evidenzia come i pazienti che avevano mantenuto nel tempo livelli di igiene orale sufficienti (più dell’80% delle superfici pulite) erano meno soggetti a patologie parodontali e perdita di elementi dentari.

Nonostante la comunità scientifica dimostri come, tramite un rigido programma di igiene orale sopragengivale, si possa prevenire l’insorgenza di patologie parodontali, sia l’epidemiologia che la letteratura sono chiare nel mostrare come la maggior parte dei pazienti non sia così efficiente nella rimozione della placca stessa.

Analizzando ad esempio i dati pubblicati dalla SidP nel 2003, emerge che quasi il 60% degli adulti italiani soffre di vari gradi di patologia parodontale, di cui il 10-14% in forma grave ed avanzata. L’aumento dell’incidenza è drastico nel range di età tra i 35 e i 44 anni.

Altri dati interessanti, che possono chiarire questa situazione, sono i seguenti:

secondo Albandar, l’82% dei giovani statunitensi è affetto da gengivite;

secondo Morris, il 72% dei giovani statunitensi ha tanta placca da visualizzarla ad occhio nudo.

Per quanto concerne le metodiche di controllo della placca sopragengivale, è chiaro come la base sia data dall’igiene orale di tipo meccanico, quindi tramite spazzolino da denti, sia esso manuale od elettrico, ed altri strumenti di igiene interdentale come filo, spazzolino interdentale e tip. Allo stato attuale di ricerca, non ci sono ancora sufficienti evidenze che una tipologia di design di spazzolino sia superiore ad un'altra.

L’utilizzo dello spazzolino elettrico con movimento rotante-oscillante si è dimostrato più efficace nella rimozione della placca rispetto al manuale, soprattutto in persone con difficoltà manuali o nei portatori di apparecchi ortodontici.

Al fine di prevenire l’insorgenza della gengivite, le manovre di igiene orale dovrebbero essere compiute almeno una volta ogni due giorni , anche se lo spazzolamento più frequente   ha mostrato benefici per la salute gengivale e per quella dentale nella prevenzione della carie. La raccomandazione di spazzolare i denti due volte al giorno va data soprattutto ai soggetti con infiammazione gengivale.

Kressin e collaboratori , in uno studio longitudinale su 26 anni pubblicato nel 2003, hanno osservato come chi spazzolava più di una volta al giorno aveva una riduzione del 49% del rischio di perdita dei denti rispetto a chi spazzolava meno. Tra le varie metodologie di spazzolamento è necessario citare la tecnica colorimetrica, che si pone come metodica innovativa ed efficace al fine di controllare la placca batterica.

La particolarità di questa tecnica, introdotta da Checchi e collaboratori nel 1998 , sta nel fatto che risulta possibile colorare la placca prima di rimuoverla. La placca infatti è praticamente invisibile e quindi, durante le manovre di igiene orale, non è possibile verificare se questa sia stata rimossa o meno in toto. Utilizzando un liquido rilevatore prima dello spazzolamento dei denti, la placca presente viene colorata di rosso. Il paziente può quindi procedere all’eliminazione delle zone colorate, utilizzando gli strumenti igienici più appropriati in base alle diverse zone della bocca. La tecnica di spazzolamento utilizzata è indifferente, l’importante è rimuovere le zone colorata. Infatti “con la tecnica colorimetrica non è tanto importante il mezzo igienico scelto, ma il risultato ottenuto”.

Osservando la letteratura in merito, risulta chiaro come l’igiene orale domiciliare esclusivamente di tipo meccanico abbia numerosi limiti, che si possono riassumere in   :

  • tecniche di igiene orale inadeguate;
  • perdita di motivazione e compliance da parte del paziente;
  • zone difficili da raggiungere e pulire con strumenti meccanici.
  • In particolare si è osservato che:
  • molti individui, dopo due minuti di spazzolamento riescano a rimuovere solo il 50% della placca presente e solo il 39% dopo un minuto;
  • il tempo medio di spazzolamento è compreso tra i 30 ed i 60 secondi ;
  • molte zone, soprattutto quelle linguali, vengono trascurate durante lo spazzolamento;
  • solo il 2-10% dei pazienti usa il filo regolarmente ed in maniera efficace ;
  • la maggioranza delle persone non può o non vuole usare il filo quotidianamente;
  • dopo la motivazione igienica i pazienti non seguono i consigli dati: già dopo 5 settimane gli indici di placca ritornano ai valori iniziali.

E’ interessante notare come nell’arco degli ultimi 20 anni la situazione non sia migliorata. La dimostrazione di ciò è offerta da due articoli, uno del 1986 161 e uno del 2005 162, che giungono alla stessa conclusione, ovvero che “[…]una percentuale significativa della popolazione non raggiunge livelli sufficienti di controllo di placca[…]esistono problemi di educazione e motivazione del paziente al controllo solo meccanico della placca[…]”.

Di particolare interesse è la revisione sistematica pubblicata dal gruppo di Van der Weijden nel 2005162: essa analizza l’efficacia nella rimozione domiciliare della placca con spazzolino manuale negli adulti con gengivite, considerando studi di durata non inferiore ai 6 mesi.            

Oltre a quella sopracitata, un'altra conclusione riportata in questa revisione è che anche una singola seduta di istruzione di igiene orale, oltre ad una seduta di igiene professionale, ha un significativo, sebbene limitato, effetto sulla riduzione della gengivite.

Un altro importante dato, riportato anche da Addy nel 1986 161 e da De Paola nel 1989 , è quello che un approccio chemioterapico aggiuntivo a quello meccanico potrebbe essere utile per rimuovere il biofilm.

E’ chiaro infine che l’utilizzo di dentifrici e collutori con finalità antiplacca ed antigengivite risulti utile, soprattutto in quei pazienti in cui le manovre di igiene orale meccaniche risultino carenti o poco efficaci. Ma nonostante questi ausili chimici possano ridurre efficacemente l’accumulo di placca e l’infiammazione gengivale, non è ancora noto quale sia il livello di riduzione necessario per contrastare la progressione delle patologie parodontali.

Prodotti per il controllo chimico della placca

La ricerca di sostanze e metodologie finalizzate al miglioramento dell’igiene orale è sempre stato connesso alle varie fasi di civiltà, a partire da ben 6000 anni fa   . Questa necessità si è dimostrata ancora più impellente nell’ultimo secolo; la carie e le affezioni parodontali, infatti, pur essendo sempre state due tra le patologie croniche più diffuse, hanno dimostrato di avere una prevalenza ancora elevata5 150 151. Questa evidenza, abbinata alle innovazioni tecnologiche e scientifiche che hanno permesso la comprensione delle cause di queste patologie, ha portato ad un netto incremento della ricerca di composti chimici atti al controllo della placca batterica. Bisogna altresì ricordare come, nella società odierna, la gamma di benefici cosmetici potenzialmente ottenibili con questi ausili sia un incentivo importante per il loro sviluppo e la loro diffusione.

Per poter affrontare in maniera più consapevole le conoscenze attuali, è senz’altro necessario ripercorrere, seppur in maniera sommaria, il percorso storico che ha portato al moderno sviluppo di importanti ausili chimici dell’igiene orale come ad esempio dentifrici e collutori.

Le prime tracce scritte sull’utilizzo dei dentifrici risalgono addirittura al 1500 a.C. e al papiro egizio di Ebers in cui vengono riportate numerose ricette mediche, alcune delle quali riguardanti la preparazione di primordiali dentifrici per la pulizia dentale, già conosciute a partire dal 4000 a.C.

Successivamente, nei vari periodi storici, si ritrovano innumerevoli scritti sulla preparazione di composti finalizzati a: pulizia dentale, controllo dell’alitosi, cura del dolore dentale e trattamento di quella patologia allora sconosciuta che ora chiamiamo carie.

In prevalenza i collutori sono sempre stati utilizzati per il controllo dell’alito cattivo; tuttavia già nella medicina cinese del 2700 a.C. vengono descritte soluzioni a base di urina di bambino con le quali effettuare sciacqui al fine di trattare le patologie delle gengive. L’utilizzo di collutori in ausilio alla pulizia meccanica è una usanza che si ritrova a partire dai romani: negli scritti di Plinio ed Ippocrate si trovano varie formulazioni (a base di sale, aceto, miele, birra, olio…) con cui effettuare sciacqui orali. E’ interessante citare anche alcuni testi religiosi come il Talmud, che riportano come sia buona usanza sciacquarsi la bocca tra i pasti: la finalità perseguita era la rimozione dei residui di cibo per impedire l’unione vietata tra carne e latticini. Sebbene abbia dunque connotati storici antichi, la pratica dello spazzolamento e dell’utilizzo di collutori divenne comune solo a partire dal 16° secolo.

Una pietra miliare per la conoscenza delle patologie orali fu posta, alla fine del 19° secolo, dal Dr. W. D. Miller che attribuì a batteri produttori di acidi l’eziologia della carie. Fu inoltre il primo ad interrogarsi sulla relazione tra batteri e patologie parodontali : in una delle sue ricerche, risalente al 1889, egli consiglia l’utilizzo di collutori a base di composti fenolici per il trattamento dell’infezione gengivale.

Più di 20 anni prima, nel 1865, Sir Joseph Lister effettuò la prima operazione chirurgica in asepsi, ponendo le basi per quel famoso composto a base di oli essenziali che, dopo vari passaggi, verrà commercializzato per utilizzo dentale a partire dal 1895.

Esattamente 100 anni dopo, nel 1965, Löe e collaboratori effettuarono uno studio scientifico in cui per la prima volta venne dimostrata l’associazione tra placca batterica e patologie parodontali. Con un semplice protocollo venne evidenziato come, dopo due settimane di assenza di manovre di igiene orale, avvenisse la comparsa di gengivite e come essa recedesse alla ripresa delle manovre stesse.

Con l’eccezione del Listerine®, che aveva avuto un suo percorso sperimentale, fu solo a partire dagli anni ’70 che, dopo aver conosciuto l’eziologia batterica della gengivite, fu possibile ricercare ed introdurre in collutori e dentifrici agenti antisettici ed antimicrobici.

Prima di passare all’analisi dettagliata delle molecole utilizzate nel controllo chimico della placca batterica e successivamente alla valutazione di quali di queste siano veramente efficaci, è necessario soffermarsi brevemente sul razionale che sta alla base dei prodotti chimici per l’igiene orale.

Questo si basa fondamentalmente su due principi:

  • correlazione eziologica tra placca batterica e patologie parodontali;
  • preoccupanti dati epidemiologici sulla prevalenza della malattia parodontale.

1 - A partire dagli anni ’70 fu evidente e successivamente dimostrato, che le misure preventive volte al controllo della placca, in primis sopragengivale, fossero alla base della prevenzione primaria e secondaria della gengivite. Venne anche ipotizzato il ruolo del controllo sopragengivale della placca sulle manifestazioni e sulle recidive della parodontite     , sebbene la relazione causale diretta tra placca e parodontite non sia ancora dimostrata chiaramente. La letteratura in merito sembra attribuire a due meccanismi l’effetto del controllo della placca sopragengivale sulla parodontite. Questi sono:

relazione temporale;

correlazione dimostrata tra placca sopragengivale e quella sottogengivale.

A - E' evidente che le manifestazioni della parodontite sono sempre precedute da una forma di gengivite (anche se non è stata dimostrata la diretta ed inevitabile progressione dalla gengivite alla parodontite );

B - L’azione, meccanica e chimica, a livello della placca sopragengivale può influenzare, dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo, quella sottogengivale .

2 – Sussistono preoccupanti dati epidemiologici sulla prevalenza della patologia parodontale , come ad esempio quelli presentati dalla Sidp nel 2003; essi mostrano come in Italia circa il 60% degli adulti soffra di vari gradi di malattia parodontale, di cui il 10-14% è rappresentato da forme gravi ed avanzate.

E’ dunque nell’associazione delle conoscenze eziologiche e di quelle epidemiologiche che la necessità di un controllo chimico della placca aggiuntivo a quello meccanico trova la sua massima razionalità. Sia l’epidemiologia sia la ricerca scientifica hanno infatti dimostrato numerosi limiti al mantenimento, tramite manovre di igiene solamente meccaniche, di livelli di placca e infiammazione gengivale compatibili con un quadro di salute orale23 ; questi limiti sussistono nonostante le innovazioni tecnologiche ed un generale miglioramento nell’igiene orale. Un ulteriore razionale si può trovare nel fatto che la suscettibilità alla malattia parodontale sia ancora molto difficile da valutare. Questa patologia è caratterizzata da una peculiare individualità e sito specificità; un’azione preventiva è quindi senz’altro utile da perseguire.

Considerando i dati sopra citati, è quindi possibile concludere che l’adozione di ausili di tipo chimico, che richiedono al paziente impegno e abilità minime, in aggiunta alle normali manovre meccaniche, potrebbe essere utile nel controllo e nella prevenzione delle patologie parodontali.

Riassumendo i punti fondamentali trattati, si evidenzia che:

  • l’agente eziologico primario della gengivite è la placca batterica;
  • la prevenzione delle patologie parodontali si basa sul controllo della placca sopragengivale;
  • l’igiene orale, solamente meccanica, presenti numerosi limiti;
  • le patologie parodontali, in primis la gengivite placca-indotta, abbiano una prevalenza ancora elevata;
  • un ausilio chimico, in aggiunta alla manovre meccaniche, possa essere utile.

L’approccio chimico nella ricerca di molecole attive verso placca e gengivite trova il suo fondamento nelle approfondite conoscenze relative sia al processo di formazione della placca batterica e del suo biofilm , sia alle conoscenze microbiologiche in merito.

Al fine di influenzare sia quantitativamente sia qualitativamente la placca batterica, le attenzioni dei ricercatori si sono concentrate su quattro categorie d’azione degli agenti chimici:

  • azione antiadesiva;
  • azione antimicrobica;
  • azione di rimozione della placca;
  • azione antipatogena.

In questa sede verranno innanzitutto definiti i campi d'azione teorici, per concentrarsi poi successivamente sulla merceologia e sui principi realmente utilizzati.

Agenti antiadesivi

Per agenti antiadesivi si intendono quei composti che possono influenzare la pellicola primitiva dei denti, prevenendo l’attacco iniziale dei batteri formanti la placca primitiva.

Purtroppo i composti attualmente identificati risultano tossici per l’utilizzo in ambito orale, eccezion fatta per l’aminoalcool delmopinolo, presente in commercio nel prodotto “Decapinol” prodotto dalla Dompè S.p.A. Questo molecola si è dimostrata efficace come agente antiplacca ed antigengivite , anche se con attività inferiore a clorexidina ed oli-essenziali. Nonostante la difficoltà di trovare agenti anti-adesivi efficaci, l’interesse dei ricercatori in questo campo risulta essere ancora alto. Ciò è dovuto al fatto che l'individuazione di agenti anti-adesivi, possibilmente ad alta efficacia, porterebbe ad una nuova ed interessante strategia di attacco verso la placca batterica.

Agenti antimicrobici

Grazie alle conoscenze sull’eziologia batterica della placca dentale, gli sforzi principali dei ricercatori si sono spinti nella ricerca di agenti antimicrobici, che possano prevenire l’insorgenza della placca stessa.

Parlando di meccanismi d’azione degli agenti antimicrobici, ne sono stati individuati principalmente due: batteriostatico e battericida.

Data la natura del biofilm, dimostratosi resistente alla penetrazione di molti agenti antisettici, risulta chiaro come l’azione battericida, presente solamente ad alte concentrazioni, sia secondaria: infatti la permanenza nel cavo orale di concentrazioni elevate dell'antisettico, capaci di uccidere istantaneamente i batteri presenti sia in forma planctonica che aggregati, è limitata solamente al periodo dello sciacquo, variabile in media tra i 30 secondi ed il minuto.

Nel periodo successivo la concentrazione del principio attivo antimicrobico decade, permanendo per un tempo più o meno lungo sopra la MIC (Concentrazione Minima Inibente). In questo periodo, quantificabile in ore, tale principio esercita perciò una azione batteriostatica, che persiste più a lungo rispetto ai pochi secondi in cui agisce quella battericida, ossia quando il principio attivo ha una concentrazione superiore alla MBC (Minima Concentrazione Battericida).

Sembra quindi che gli antimicrobici abbiano un’iniziale azione battericida, seguita da una più o meno lunga azione batteriostatica. Proprio la durata dell’azione batteriostatica, detta sostantività, risulta essere un parametro importante nella scelta di un antisettico. Tra i composti a maggiore sostantività annoveriamo la clorexidina, con azione fino a 12 ore e gli oli-essenziali, fino a 7 ore.

Ad eccezione del già citato delmopinolo, gli antimicrobici sono attualmente gli unici agenti reperibili in commercio. La loro efficacia clinica, come si vedrà successivamente, risulta essere molto variabile.

Agenti di rimozione della placca

Si basano idealmente sulla presenza di composti capaci, al pari dello spazzolino da denti, di rimuovere la placca dentale presente. L’utilizzo, nei collutori, di agenti con questa azione (si pensi agli ipocloriti) è inattuabile a causa della loro tossicità. Altri composti dimostratisi efficaci sono gli enzimi, come la destranasi e la mutanasi, diretti contro la pellicola acquisita.

Agenti antipatogeni

La presenza di questi agenti è tuttora solo teorica. Il razionale sarebbe quello di introdurre in cavità orale degli agenti capaci di inibire la patogenicità della placca senza distruggere i batteri presenti. In particolare, a differenza degli antisettici, gli agenti antipatogeni dovrebbero agire a livello dei batteri presenti modificandoli geneticamente, al fine di renderli non patogeni e quindi innocui o persino benefici per la salute del cavo orale. Tutto ciò senza necessariamente ucciderli.

A livello teorico esiste quindi la possibilità di intervenire su molteplici processi all’interno della catena di formazione della placca. Tuttavia le attuali conoscenze scientifiche e l’attuale tecnologia limitano la ricerca, proponendo principalmente sostanze antimicrobiche capaci di prevenire la proliferazione batterica.

La letteratura ha dimostrato l’alta efficacia di alcuni composti antimicrobici nel controllo della placca batterica e nella prevenzione primaria e secondaria delle patologie parodontali .

Presupponendo che questi agenti non abbiano una azione diretta di rimozione della placca stessa ma solo o principalmente antimicrobica, si conferma la constatazione che i composti chimici debbano essere usati come ausilio alla sua rimozione con mezzi meccanici   .

Veicoli di rilascio

L’identificazione di sostanze efficaci nel controllo della placca va necessariamente associata all’individuazione del loro veicolo di rilascio ideale. La ricerca e la letteratura in merito hanno evidenziato i seguenti veicoli potenziali:

  • Dentifrici ;
  • Collutori ;
  • Spray;
  • Irrigatori;
  • Gomme da masticare ;
  • Gel;

Sebbene siano molti i possibili mezzi di rilascio, alla base delle conoscenze attuali i migliori risultano essere i collutori ed i dentifrici . Anche il rapporto costo/beneficio favorevole e la praticità sembrano essere a favore dei dentifrici Non bisogna però dimenticare la possibile inattivazione dei principi attivi antiplacca da parte di altri ingredienti (ad esempio, l’inattivazione della clorexidina da parte del sodio-lauril solfato presente in molti dentifrici).

L’utilizzo di altri mezzi di veicolazione quali vernici, irrigatori o spray sembra essere adatto in persone con disabilità mentali e/o fisiche. Venendo ai collutori, la loro azione, rispetto a quella dei dentifrici, si estende ad una superficie maggiore. La superficie dentale copre, infatti, solamente il 20% delle superfici del cavo orale; nel restante 80% troviamo alcune zone molto importanti come reservoirs batterici, come ad esempio il dorso e le superfici laterali della lingua, oltre alle mucose buccali. Su queste superfici, oltre che sulla saliva e nelle zone interprossimali spesso dimenticate dai pazienti durante l’igiene o difficili da pulire, il veicolo collutorio sembra avere una maggiore azione rispetto al veicolo dentifricio .

D’altra parte, non bisogna dimenticare come l’utilizzo del dentifricio sia indissolubilmente legato a quello dello spazzolino, ad azione meccanica, e quindi alla base del controllo della placca sopragengivale. Recentemente è stato mostrato come l’utilizzo del dentifricio non porti alcun vantaggio nell’atto della rimozione della placca; in altri termini, rispetto alla combinazione con il dentifricio, lo spazzolamento da solo ha la stessa efficacia o un’efficacia addirittura. Questo dato è influente, in quanto la presenza di agenti abrasivi all’interno dei dentifrici diventa superflua: l’importanza di ciò è legata al fatto che gli abrasivi possono condurre, con metodiche di spazzolamento incorrette, a varie lesioni dentali.

Il dentifricio rimane però un veicolo per sostanze anticarie, sbiancanti, antigengivite.

Per una ottimale azione verso carie e patologie parodontali risulta necessario associare un dentifricio ad un collutorio, utilizzando il primo con azione principalmente diretta sulla carie (dentifricio fluorato) ed il secondo invece verso la placca/gengivite. Una visione limitata ai costi potrebbe far sorgere il dubbio – lecito - che basti utilizzare un dentifricio con principi attivi antiplacca, ma le considerazioni già apportate riguardo all’azione più “ampia” mostrata dal collutorio fanno ritenere che la combinazione dei due ausili sia la soluzione ottimale.

Sostanze chimiche utilizzate

In letteratura e nel commercio si trovano numerose formulazioni farmaceutiche; la presenza, nei supermercati ed in farmacia, di molteplici prodotti apparentemente diversi non deve tuttavia trarre in inganno l’occhio attento del professionista. Infatti all’ampia presenza commerciale non corrisponde una altrettanto ampia gamma di principi attivi. Questi, dal punto di vista chimico, si possono classificare in:

  • Antisettici Bisbiguanidi (clorexidina)
  • Composti dell’ammonio quaternario (cloruro di cetilpiridinio)
  • Fenoli sintetici (triclosan)
  • Oli-Essenziali (mentolo, timolo ed altri)
  • Estratti naturali (sanguinaria)
  • Fluoruri (fluoruro amminico – fluoruro stannoso)
  • Aminoalcool (delmopinolo12)
  • Altri composti (enzimi, antibiotici, sali metallici, agenti ossigenanti, detergenti).
  • Antisettici bis-biguanidi

A questo gruppo appartiene la clorexidina; essa è senza dubbio l’antisettico più studiato e quello attualmente dimostratosi più efficace nella riduzione della placca e nella prevenzione della gengivite. La clorexidina viene utilizzata soprattutto in collutori e gel, anche se dalla letteratura è stata evidenziata qualche formulazione in dentifricio.

La clorexidina rappresenta attualmente il gold standard negli studi sugli antisettici, nonostante i suoi effetti collaterali . Sono stati testati anche altri tipi di molecole bisbiguanidi (alexidina, octenidina), ma la loro efficacia è risultata minore alla clorexidina o si sono dimostrati più tossici.

Composti dell’ammonio quaternario

Il composto principale di questa categoria è il cloruro di cetilpiridino, presente soprattutto in collutori. Nonostante siano presenti numerose formulazioni commerciali, rispetto ad altri agenti, la letteratura in merito è decisamente inferiore. Sono state studiate anche combinazioni con clorexidina ed oli essenziali, che hanno mostrato buoni risultati, anche se rimane da dimostrare se l’efficacia sia da attribuire alla combinazione o a clorexidina/oli essenziali, principi attivi dimostratisi decisamente più efficaci rispetto al cloruro di cetilpiridinio se utilizzati singolarmente.

Fenoli sintetici

Il principio più utilizzato è il triclosan, un antimicrobico non-ionico. Questo agente, utilizzato in prodotti per l’igiene personale, è stato introdotto anche in dentifrici e, in maniera minore, nei collutori. L’efficacia del triclosan in sé è molto ridotta, mentre invece risulta essere potenziata dall’aggiunta di citrato di zinco, con aumento dell’azione antimicrobica, o del copolimero Gantrez, che ne aumenta invece la sostantività. Proprio questa ultima combinazione, utilizzata principalmente in dentifrici, si è dimostrata tra quelle più efficaci nel controllo di placca e gengivite, come evidenziato dalla metanalisi di Gunsolley del 2006.

Oli essenziali

Per oli essenziali presentano una vasta gamma di principi estratti per distillazione dalle piante; sebbene abbiano un ampio utilizzo nell’ambito della medicina naturale e nell’aromaterapia, la presenza di essi come principio attivo in formulazioni per l’igiene orale è alquanto limitata. Gli oli essenziali rivestono un’importante parte come eccipienti, essendo presenti nella maggior parte di collutori e dentifrici in commercio.

Estratti naturali

I prodotti naturali, tra cui annoveriamo la sanguinarina, sono supportati da ben pochi studi scientifici, che per di più ne dimostrano una dubbia efficacia, anche in combinazione con altre sostanze quali lo zinco.

A parte la sanguinarina, presente in alcuni collutori, l’utilizzo di erbe officinali è sfruttato in molti dentifrici. Anche questi si sono dimostrati però meno efficaci rispetto a quelli convenzionali al fluoro.

Fluoruri

Sebbene lo ione fluoruro abbia una azione importantissima nella prevenzione della carie, questo non sembra avere alcun effetto sia sulla formazione della placca sia sulla gengivite. Gli unici fluoruri dimostratisi efficaci, seppur limitatamente, sono il fluoruro amminico e il fluoruro stannoso usati in combinazione .

Aminoalcool

Gli agenti chimici facenti parte di questa categoria, tra cui si ricorda l’octapinolo ed il delmopinolo, hanno una minima azione sui microbi, agendo principalmente come antiadesivi.

L’octapinolo è stato presto ritirato dal commercio in quanto tossico, mentre il delmopinolo, seppur possedendo molti effetti collaterali, si è dimostrato efficace in concentrazioni di 0,1% o 0,2% come agente antiplacca e antigengivite . Attualmente è presente in commercio una sola formulazione contenente delmopinolo.

Altri composti

Fanno parte di questa categoria vari composti che hanno un utilizzo limitato o per ragioni tossicologiche o in quanto poco efficaci o poco studiati.

Tra questi annoveriamo ad esempio il sodio lauril-fosfato, facente parte dei detergenti e presente in numerosi dentifrici, che ha dimostrato avere una seppur modesta azione antiplacca.

Ricordiamo anche alcuni sali metallici come lo zinco (usato in combinazione con altri composti quale il triclosan), agenti ossigenanti (perossido di idrogeno, usato attualmente come agente sbiancante dentale), ipoclorito di sodio (buona efficacia, paragonabile alla clorexidina, in formulazioni sperimentali, ma alti livelli di erosione), iodio-povidone ed esetidina (scarso o nessun effetto in vivo).

Gli antibiotici presentano numerosi e a volte pericolosi effetti collaterali (ad esempio la resistenza batterica) e quindi non dovrebbero essere utilizzati né a livello sistemico né topico come agenti di prevenzione delle patologie parodontali.

Riguardo agli enzimi, sebbene se ne siano evidenziati alcuni con azione di rimozione della placca, mancano studi convincenti a lungo termine che ne dimostrino l’efficacia.

Concludendo, è possibile affermare come, nonostante la presenza di numerosi principi attivi, solo alcuni si siano dimostrati clinicamente efficaci e con effetti collaterali sostenibili. E’ possibile inoltre che l’associazione tra vari principi possa portare ad una azione sinergica o additiva.

I Collutori

Il termine collutorio deriva dal latino collutus, participio passato del verbo colluere, che significa lavare, sciacquare . Per collutorio si intendono quindi vari liquidi destinati a lavare la bocca, oppure ad essere trattenuti in essa per le affezioni delle gengive, della lingua e dei denti 172.

I collutori possono venire utilizzati per molteplici finalità, anche se la maggior parte dei pazienti li utilizza fondamentalmente per scopi cosmetici, come il controllo dell’alitosi2 3 46 ; in realtà, l’utilizzo dei collutori a formulazione antiplacca ed antigengivite, come già evidenziato, è indicato in quei pazienti che durante le visite di controllo hanno mostrato un’igiene orale inadeguata.

Parlando di collutori, è giusto elencare quelle caratteristiche che, secondo alcuni autori, li rendono “ideali”. Queste, secondo Checchi & collaboratori e Baker, paiono essere principalmente:

  • Efficacia clinica;
  • Gradimento;
  • Basso costo.

All’interno dell’efficacia clinica del collutorio è possibile annoverare altre caratteristiche legate al suo essere:

  • veloce e sicuro;
  • capace di uccidere i batteri in zone difficili da raggiungere;
  • capace di raggiungere le zone di inizio della patologia;
  • capace di rimuovere la placca già presente;
  • dotato di alta sostantività;
  • capace di non indurre popolazioni microbiche resistenti;
  • dotato di scarsi effetti collaterali;
  • non tossico.

Già ad una prima lettura ci si può rendere conto di quanto sia difficile trovare un collutorio che risponda a tutte queste caratteristiche.

Attualmente, è possibile trovare sul mercato una moltitudine di formulazioni commerciali, contenenti principalmente clorexidina, fluoruro amminico e fluoruro stannoso, cloruro di cetilpiridinio, delmopinolo, oli essenziali. Tocca quindi al professionista del settore saper consigliare ai propri pazienti il giusto collutorio a seconda del fine ricercato.

In una comunità professionale sempre più volta all’EBD, ossia all’odontoiatria basata sull’evidenza, è giusto conoscere ed interpretare i dati sui collutori ricavabili dai molteplici studi sull’argomento. Basando quindi la successiva analisi sull’evidenza scientifica, è necessario innanzitutto parlare della sua gerarchia, al fine di poter inquadrare e valutare la moltitudine di articoli che analizzano i collutori nel loro aspetto di efficacia clinica.

La gerarchia dell’evidenza, spesso identificata graficamente da una piramide, può essere così riassunta partendo dal grado più basso:

  • Studi in vitro;
  • Ricerche su animali;
  • Opinione di esperti;
  • Case reports;
  • Case series;
  • Studi caso-controllo;
  • Studi di coorte;
  • Studi clinici randomizzati e controllati;
  • Revisioni sistematiche e metanalisi.

Molta importanza, almeno nella letteratura sui collutori, è attribuita al parametro durata. In particolare hanno un maggior grado di evidenza scientifica gli studi di lunghezza maggiore a 6 mesi, periodo considerato “ a lungo termine”.

Bisogna però ammettere che molte ricerche, seppur di evidenza minore, rivestono un ruolo importante in quanto hanno permesso di analizzare e scoprire caratteristiche che sono state poi successivamente analizzate con campioni più grandi e con modalità di ricerca più complesse. Ad esempio, nell’identificazione di un nuovo principio attivo, sarà necessario partire dai test microbiologici in vitro; successivamente si condurranno ricerche su animali, per poi giungere a studi RCT (Randomized Clinical Trial); infine dopo molti RCT, si potrà arrivare a metanalisi e revisioni sistematiche. Per metanalisi si intendono studi che, al fine di trovare la migliore evidenza su un argomento, raccolgono tutti gli articoli che lo trattano e cercano di uniformare i dati analizzandoli in maniera critica.

Nell’ambito dei collutori è interessante constatare come siano stati ideati svariati protocolli di ricerca, seppur appartenenti ai bassi livelli della gerarchia dell’evidenza.

Tra questi vanno ricordati :

  • studi sulla ricrescita della placca a 24 ore;
  • studi sulla ricrescita della placca a 4 giorni (per valutare l’efficacia solamente antiplacca);
  • studi sulla conta batterica nella saliva;
  • studi microbiologici sui batteri in forma planctonica;
  • studi microbiologici sui batteri in biofilm;
  • studi basati sul modello di gengivite sperimentale di Lö

Nell’identificazione dei principi attivi contenuti nei collutori più efficaci come agenti antiplacca ed antigengivite, si ricorrerà principalmente ad articoli ad alto grado di evidenza; in particolare si terrà conto di studi clinici controllati e randomizzati di lunghezza superiore a 6 mesi, di revisioni sistematiche e metanalisi.

Proprio gli autori di metanalisi40   hanno evidenziato come, anche negli studi ad alto grado di evidenza, esista poca uniformità nei protocolli di ricerca e la presenza di numerosi bias, tra i quali è possibile annoverare:

  • sponsorizzazioni da case produttrici;
  • campioni spesso esigui;
  • indici di placca e gengivite diversi;
  • studi positivi al test di eterogeneità;
  • condizioni sperimentali diverse da quelle “comuni”;
  • igiene orale supervisionata;
  • studi comparativi di pochi prodotti;
  • design di studio spesso diverso;
  • lungo termine identificato in 6 mesi;

effetto Hawthorne (i soggetti facenti parte dello studio tendono ad avere un’igiene orale superiore rispetto a quando non ne fanno parte).

A causa di questi bias i dati della letteratura, seppur ad alto livello di evidenza e quindi ad alta attendibilità, non si possono considerare precisi al 100% ma solo indicativi e quindi da integrare con l’esperienza clinica e con le esigenze del paziente.

Nel momento in cui si effettua un’analisi comparativa tra i vari principi attivi antiplacca ed antigengivite per identificare i più efficaci, di grande aiuto sono le metanalisi. Quella più importante nell’ambito qui analizzato è quella pubblicata da Gunsolley nel 2006 sul JADA, dal titolo “A meta-analysis of six-month studies of antiplaque and antigengivitis agents” in cui vengono esaminati i principi attivi antiplacca ed antigengivite, contenuti in dentifrici e collutori, ricercando e comparando gli studi RCT (studi clinici controllati e randomizzati) di durata non inferiore ai 6 mesi presenti in letteratura e non (l’autore ha richiesto alle case di produzione studi non pubblicati). Questo articolo è stato recentemente valutato nel Journal of Evidence Based Dentistry Practice, che ne ha garantito l’elevato valore scientifico. In questa sede ci si concentrerà solamente sulla parte inerente ai collutori.

In tale metanalisi sono analizzati quelli a base di clorexidina, cetilpiridinio cloruro e oli-essenziali.

Collutori a base di clorexidina 0,12%

Dall’analisi dei 6 studi inclusi     nella ricerca, risulta chiaro come le formulazioni contenenti questo principio attivo abbiano una consistente azione antiplacca. Tutti gli studi riportano differenze statisticamente significative rispetto al controllo (placebo). Anche riguardo all’azione antigengivite, la clorexidina si è dimostrata il principio attivo più efficace.

Basandosi su questi studi, che coinvolgono in generale più di 1300 pazienti, è possibile capire che l’azione della clorexidina provoca una riduzione dei livelli di placca dal 16 al 61% rispetto al placebo e dei livelli di gengivite dal 18 all’80% sempre rispetto al placebo. Va puntualizzato come questi risultati debbano essere inquadrati in un utilizzo del collutorio in aggiunta alle manovre di igiene orale meccaniche.

Anche nelle Italian Moutwash Guidelines, pubblicate nel 2007, che comprendono una metanalisi più completa ed una analisi comparativa tra tutti i molteplici principi attivi presenti in commercio, viene evidenziata la superiorità della clorexidina come agente antiplacca ed antigengivite. In particolare viene riportato come la clorexidina sia superiore, riguardo al controllo di placca, gengivite e sanguinamento gengivale, rispetto a: acqua, placebo, nessun trattamento, delmopinolo, cetilpiridinio cloruro, sanguinaria, fluoruro amminico + fluoruro stannoso, oli-essenziali.

Un’altra importante caratteristica della clorexidina, che la differenzia da tutti gli altri principi attivi, è l’elevata sostantività, quantificabile in 12 ore .

Questo principio attivo viene utilizzato da più di 40 anni, anche perché non dimostra di avere tossicità sistemica né alcuna reazione avversa sulla microflora orale .

Pur ponendosi ancora come attuale gold-standard , alcuni effetti collaterali impediscono il suo utilizzo quotidiano come ausilio chimico all’igiene orale. Tra questi annoveriamo:

  • pigmentazioni estrinseche di denti, mucose, materiali da restauro;
  • aumento dell’accumulo di tartaro;
  • alterazioni del gusto;
  • efficacia alterata dall’utilizzo di prodotti contenenti sodio-lauril fosfato.

Sempre nelle Italian Mouthwash Guidelines la clorexidina, nelle analisi comparative tra i vari principi attivi, ha mostrato di essere superiore e con differenze spesso statisticamente significative nell’incidenza di effetti collaterali.

Collutori a base di cetilpiridinio cloruro

Nei 6 studi inclusi nella metanalisi di Gunsolley, viene evidenziata una grossa eterogeneità dei risultati, dovuta probabilmente alle diverse formulazioni commerciali analizzate. L’efficacia antiplacca ed antigengivite è quindi dubbia, in quanto sembra legata alla formulazione commerciale: infatti, mentre 4 studi dimostravano risultati statisticamente significativi non raggiungevano la significatività.

Collutori a base di oli essenziali

I collutori a base di oli essenziali sono quelli supportati dal maggior numero di studi a lungo termine. Nella metanalisi analizzata sono infatti inclusi ben 20 studi, pubblicati         e non , confacenti ai criteri di inclusione. Gunsolley, dato il numero sufficiente di studi pubblicati e non pubblicati, ha potuto effettuare una comparazione tra i risultati degli studi pubblicati e non pubblicati senza notare alcuna differenza nei risultati.

Riguardo all’efficacia antiplacca, dei 20 studi inclusi, solo uno ha mostrato una differenza non statisticamente significativa e quindi la sua efficacia risulta chiara nonostante il test di eterogeneità sia risultato positivo.

Analizzando invece l’efficacia antigengivite, l’autore ha notato una notevole differenza a seconda dell’indice gengivale utilizzato, il GI (Gingival Index) o il MGI (Modified Gingival Index) , quest’ultimo impiegato nella maggior parte degli studi: infatti, degli studi che hanno usati il GI, sola la metà ha mostrato differenze significative, mentre invece gli che studi che hanno utilizzato il MGI, che include 4 classi di valutazione gengivale invece delle 3 del GI, tutti hanno dimostrato l’efficacia degli oli-essenziali. L’autore conclude che l’utilizzo del MGI e quindi di una scala più ampia di valutazione, possa contribuire ad un miglior discernimento delle differenze tra il prodotto test e il prodotto controllo.

Gli oli-essenziali si sono quindi dimostrati un principio attivo efficace come agente antiplacca ed antigengivite, seppur con effetto minore della clorexidina.

In particolare l’efficacia antiplacca degli oli essenziali è circa il 60% rispetto a quella della clorexidina, attuale gold-standard.

Oli Essenziali per l’Igiene Orale

Con il termine oli essenziali si definiscono quei principi ottenuti per estrazione a partire da materiale vegetale definito “aromatico”, ricco cioè di "essenze" . Il termine "oli essenziali" ha avuto in passato numerosi sinonimi quali “aromi”, “essenze aromatiche”, “oli eterei”, fino a quando la Farmacopea Francese ha fornito un'unica denominazione a queste sostanze, quella appunto di "oli essenziali" cui si farà sempre riferimento in questa sede.
Oltre che per la diversa composizione chimica e le diverse caratteristiche fisiche, questi oli si differenziano dagli oli stabili, o comunque dai grassi contenuti nei vegetali che sono comunemente chiamati “oli”, in quanto sono assai volatili, poichè tendono con facilità a passare dallo stato liquido a quello gassoso.

Gli oli essenziali si possono ricavare potenzialmente da qualsiasi parte delle piante: dal fiore, foglie, gemme, semi, frutti od anche dal legno e dalle radici.

Gli oli essenziali, per come li conosciamo oggi, sono un prodotto relativamente moderno. Nonostante il concetto di estrazione in corrente di vapore sia abbastanza antico e probabilmente sia stato sviluppato dagli arabi più di mille anni fa, questa tecnologia non fu mai utilizzata per isolare gli oli essenziali; ma venne invece impiegata per ottenere le acque aromatiche, che erano considerate le vere "essenze" delle piante. Soltanto con il progredire della tecnologia fu possibile isolare con sempre maggior efficienza gli oli essenziali ed imparare ad utilizzarli.

Due sono le tecniche di estrazione consentite dalla legge per poterli estrarre a scopo terapeutico :

Distillazione in corrente di vapor d'acqua;

Spremitura o pressatura.

1- Distillazione in corrente di vapor d'acqua

La distillazione in corrente di vapor d'acqua e' il metodo principale per ottenere un prodotto di qualità. La materia vegetale da distillare viene immersa in un bagno di vapore che determina il distacco delle sue sostanze volatili, che vengono poi raccolte tramite un successivo processo di refrigerazione. All'interno di questa metodologia è poi possibile distinguere tra una distillazione in cui il materiale è immerso in acqua e un altro tipo di distillazione nella quale il materiale è sospeso sopra alla fonte di vapore.

2- Spremitura o pressatura

Questo metodo si usa per ottenere gli oli essenziali che sono contenuti nella buccia degli agrumi. Un tempo questa tecnica era eseguita manualmente, mentre oggi viene eseguita da macchinari, al fine di ottenere dai frutti il succo e dalle scorze le essenze, che sono quest’ultime le reali fonti degli oli essenziali!

Gli oli-essenziali prendono il nome dalla pianta da cui derivano, per cui si ottiene olio essenziale di Lavanda dai fiori della lavanda, olio essenziale di Eucalipto dalle foglie dell'eucalipto, olio essenziale di Ginepro dalle bacche (galbuli) del ginepro e così via. Gli oli-essenziali possono essere inoltre classificati in base alla composizione chimica. In questo senso è possibile distinguere tra:

  • Carburiterpeni e sesquiterpeni: Pino, Ginepro...
  • Alcoli: Coriandolo, Rosa…
  • Miscela esteri ed alcoli: Lavanda…
  • Aldeidi: Cumino, Anice…
  • Chetoni: Salvia, Menta…
  • Fenoli: Timo, Origano…
  • Eteri: Prezzemolo, Badiana…
  • Perossidi e derivati vari: Chenopodio e oli-essenziali attivati per aumentarne le capacità antibatteriche e di permeazione (perossidazione).

L'olio essenziale è un estratto fitochimico selettivo, ovvero un particolare gruppo fitochimico che è scelto e selettivamente rimosso dalla pianta. Vale quindi la pena sottolineare come l'olio estratto sia altamente selettivo, dato che isola una componente minoritaria della pianta (mediamente dallo 0,01% al 2%).

Gli oli-essenziali vengono ottenuti come prodotto dalle essenze contenute nelle piante, ma non sono completamente sovrapponibili ad essi dal punto di vista chimico; infatti gli oli essenziali contengono solo le molecole idrofobiche volatili alle condizioni di estrazione, mentre non contengono le molecole idrofiliche, che si perdono invece nelle acque aromatiche.

Va fatto ancora notare come numerose siano le varianti connesse alla qualità finale degli oli-essenziali: devono essere infatti tenuti in considerazione l’altitudine, il clima e perfino l’ora - giorno o notte - al fine di poter cogliere il “momento balsamico”, cioè il periodo di massima concentrazione di principi odorosi. Raccogliere e lavorare la pianta in questo momento è così importante che in alcuni casi gli oli essenziali vengono estratti con spremitura o pressatura sullo stesso campo di raccolta, mediante apposite apparecchiature mobili.

La qualità' degli oli essenziali viene misurata mediante dei test, che si dividono in test organolettici, fisici e chimici. I test organolettici si basano su aspetto, colore ed odore. Esistono anche test fisici (solubilita' in alcool, densita', indice di rifrazione) e chimici (titolo dei principali costituenti, ricerca di sostanze estranee, indice di acidita'), ma questi test, a differenza di quelli organolettici che possono essere condotti anche dallo stesso consumatore, sono eseguiti da specialisti.

Va sottolineato come, per ottenere pochi millilitri di prodotti, occorrano grandi quantità di piante. Alcune (come la lavanda, la palmarosa o il rosmarino) hanno una buona resa, quindi il loro costo resterà contenuto; altre, come rosa, gelsomino e neroli, hanno una resa bassissima e di conseguenza il costo si alzerà moltissimo.

Gli oli essenziali sono quindi sostanze altamente concentrate, da maneggiare con cura ed attenzione. Il fatto che essi siano sostanze naturali non significa affatto che siano sempre benefici: da una parte possono curare o alleviare parecchi sintomi o malesseri, ma dall’altra sono potenzialmente tossici, se non si rispettano le precauzioni d’uso. Queste consistono principalmente nel diluirli sempre secondo le percentuali raccomandate, in quanto sono irritanti ad alte concentrazioni.

Gli oli essenziali vanno conservati lontano dal calore, dalla luce, dall'aria e dall'umidità, che ne possono comprometterne la qualità. Devono quindi essere riposti in un ambiente fresco ed asciutto ed in recipienti ermeticamente chiusi con vetro scuro.

Le proprietà chimico-fisiche degli oli essenziali sono molteplici: essi sono estremamente volatili, possiedono un odore caratteristico detto “aroma”, sono generalmente liquidi, di colori differenti od anche incolori e hanno una consistenza oleosa. Di sapore intenso, acre e piccante, essi sono scarsamente solubili in acqua, che però impregnano del loro aroma, mentre si sciolgono bene nelle sostanze grasse, in alcool e nei solventi organici più comuni, come il cloroformio e l'etere.
Le proprietà scientificamente attribuite agli oli essenziali sono principalmente l'azione antisettica, quella antibatterica , l'azione antivirale e quella antifungina . A seconda della pianta dalla quale vengono estratti, troviamo anche un'azione balsamica ed espettorante, rilassante, stimolante, oppure nutriente e levigante della pelle.

L'utilizzo principale degli oli-essenziali si ritrova nell'aromaterapia. Il termine “aromaterapia” ha significati diversi a seconda dei Paesi in cui viene usato, ma in generale potrebbe essere definito come “utilizzo degli oli essenziali per il mantenimento della salute o per la terapia”.

Ogni singolo olio essenziale possiede infatti delle virtù specifiche, che lo rendono particolarmente indicato contro ben precisi disturbi e con mirate finalità. Le proprietà benefiche degli oli essenziali possono quindi avere diverse possibili applicazioni. Essi, infatti, possono essere utilizzati in più modi, per uso esterno e per uso interno (in quest'ultimo caso con cautela, data la loro elevata concentrazione di principi attivi). Hanno una potente azione mirata su organi e apparati specifici, come il cavo orale, l'apparato respiratorio, il sistema nervoso, il sistema venoso, l'apparato digerente; per questo è necessario attenersi sempre ai consigli e alle dosi suggerite dagli esperti. In generale è possibile riconoscere le seguenti modalità d'utilizzo :

  • Applicazione cutanea (ovvero per contatto con la cute: bagni, massaggi, maschere, fanghi);
  • Permucotica (ovvero per contatto con le mucose: ad esempio risciacqui o gargarismi);
  • Inalatoria o olfattiva (inalatori, diffusori);
  • Assunzione orale (ingestione delle gocce).

Per quanto concerne l’uso esterno, gli oli essenziali vengono impiegati per la salute e per la bellezza del corpo, ad esempio nel bagno o nella doccia; qui, per effetto dell'acqua e del calore, i pori della pelle si dilatano assorbendo maggiormente i vapori benefici, ricchi dei principi attivi da essi veicolati. Questi avranno una duplice via di assorbimento: quella cutanea e quella inalatoria, attraverso il vapore acqueo. Gli oli essenziali sono ideali anche nel massaggio, poiché la pelle costituisce un vettore perfetto per il loro assorbimento.

In aromaterapia gli oli essenziali sono spesso fortemente diluiti in un solvente adeguato, al fine di ridurre i rischi di effetti avversi, in particolare reazioni di ipersensibilità. Vista la loro forte lipofilicità, i solventi più utilizzati sono gli oli grassi e l'alcool.

L'aromaterapia, con l'utilizzo specifico di alcuni particolari oli essenziali, trova come indicazioni, in ambito non prettamente orale, le seguenti condizioni:

  • infezioni cutanee e delle mucose;
  • infezioni del tratto gastrointestinale;
  • infezioni e disturbi catarrali delle prime vie respiratorie;
  • spasmi della muscolatura liscia gastrointestinale;
  • gonfiore addominale;
  • dispepsia iposecretoria;
  • condizioni nelle quali una stimolazione della perfusione ematica sia indicata (disordini reumatici ed artrosici, uso esterno);
  • modulazione dell'umore.
  • Gli oli essenziali hanno effetti collaterali e controindicazioni specifiche, ma in generale il loro uso può portare a:
  • Sensibilizzazione;
  • Irritazione;
  • Tossicità a dosaggi orali elevati (quasi tutti gli oli essenziali debbono essere considerati tossici a dosaggi superiori ai 20 ml; alcuni lo sono a dosaggi molto inferiori).

Per la mancanza di una precisa codifica, oltre che per la scarsità di dati clinici, l'aromaterapia è lontana dal poter essere definita come una vera terapia; manca infatti un corpus di testi canonici, modalità riconosciute, curriculum di studio standardizzati, ecc., anche se i materiali utilizzati dall’aromaterapia e alcune delle modalità di utilizzo di essa sono state sottoposte a studi clinici e farmacologici.

Non ci sono infatti dubbi sul fatto che, nella maggior parte dei casi, gli oli essenziali siano farmacologicamente attivi e che alcuni oli essenziali lo siano in maniera tale da renderli interessanti per la terapia umana. Mentre esistono molti dati di sperimentazione in vitro ed in vivo su modelli animali, scarseggiano invece gli studi clinici.

Data la necessità di valutare il potere antibatterico dei singoli oli essenziali, al fine di poter decidere quali siano maggiormente efficaci, è stato ideato un test chiamato aromatogramma. L'aromatogramma è un esame effettuato in laboratorio per testare la sensibilità di una specie batterica verso un determinato olio essenziale. Questo esame viene effettuato con le stesse modalità dell'antibiogramma, ovvero seminando la specie batterica interessata in un terreno di coltura solido, e successivamente ponendo sulla sua superficie uno o più dischetti di carta imbevuti con alcune gocce dell'olio essenziale da testare. Successivamente, si deve incubare il terreno alla temperatura adeguata e per il tempo necessario, dopodiché si valuteranno gli aloni di inibizione più o meno estesi, cioè zone di mancata crescita del microrganismo, la cui estensione indica il potere battericida di ciascun olio essenziale. In questo modo è possibile confrontare i poteri battericidi di diversi tipi di oli essenziali nei confronti di una determinata specie batterica, così da stabilire quale di essi possa essere il più efficace a debellare l'infezione causata da quel dato microrganismo.

Attraverso l'esecuzione dell'aromatogramma si può attribuire ad ogni olio essenziale analizzato il proprio indice aromatico (I.A.), che rappresenta il rapporto tra l'alone di inibizione dell'olio in analisi e l'alone che avrebbe un olio essenziale ideale, ovvero con potere battericida massimo, al quale è attribuito un ideale valore pari a 1. Ad esempio, l'olio essenziale del timo, che ha un potere battericida piuttosto elevato, ha un indice aromatico pari a 0.711, mentre quello di basilico, piuttosto blando, ha un indice aromatico pari a 0.012.

L'indice aromatico è anche detto "indice origano", in quanto l'olio essenziale di tale specie vegetale è molto attivo e possiede un I.A. di poco inferiore ad 1.

Dopo aver descritto cosa sono gli oli-essenziali ed il loro utilizzo nell'ambito dell'aromaterapia, si andrà ora ad analizzare il loro utilizzo in ambito orale.

L'utilizzo degli oli-essenziali nei prodotti per l'igiene orale risale, come già descritto nel capitolo 2, a 100 anni or sono.

Il Listerine®, contenente una miscela fissa di oli essenziali (Timolo, Eucaliptolo, Mentolo, Metil Salicilato), ideato inizialmente per l'asepsi operatoria e poi scopertosi efficace come agente antiplacca ed antigengivite, è stato successivamente studiato approfonditamente, tanto che la sua efficacia è ormai supportata da un gran numero di studi clinici di qualità.

E' interessante notare come, nella moltitudine dei collutori e prodotti per l'igiene orale proposti dalle aziende, il Listerine® (Pfizer S.p.A.) rimanga pressochè l'unico prodotto che si avvalga degli oli essenziali come principio attivo, ad eccezione del collutorio One Drop Only® (Pasquali farmaceutici), su cui però non esistono studi clinici. Oltre al Listerine® originale, distribuito attualmente solo negli Stati Uniti dato il suo contenuto in alcool pari al 26,7%, vengono proposte numerose versioni del prodotto; in esse, alla base sempre uguale di oli essenziali, vengono aggiunte altre componenti volte a soddisfare diverse esigenze, spesso cosmetiche, e i gusti del consumatore.

La presenza di oli essenziali in altri prodotti per l'igiene orale è comunque diffusa ma solo come eccipiente, con finalità gustative o emollienti e calmanti per le mucose.

Trascurando momentaneamente gli studi riferiti specificatamente al Listerine®, a cui verrà dato successivamente ampio spazio, è interessante riportare un articolo di Shapiro e collaboratori, pubblicato sul Oral Microbiology and Immunology del 1994, che analizza gli oli-essenziali puntando l'attenzione sulla loro azione batteriostatica e battericida nei confronti dei principali batteri orali causa di patologie parodontali.

In questo studio, effettuato in vitro, vengono valutate la MIC e MBC (minima concentrazione inibente e minima concentrazione battericida) di singoli oli essenziali e di loro combinazioni, verso batteri orali anaerobi e aerobi-anaerobi facoltativi tra i quali P. gingivalis, F. nucleatum, A. actinomycetemcomitans, T. denticola. Gli oli essenziali evidenziati come più efficaci agenti batteriostatici verso i microrganismi anaerobi obbligati risultano essere quelli di Australian Tea Tree, menta piperita e salvia. L'azione verso gli anaerobi facoltativi è presente, seppure a concentrazioni più elevate. Il timolo e l'eugenolo risultano avere una buona azione battericida verso A.actinomycetemcomitans e i batteri anaerobi obbligati piuttosto che verso gli anaerobi facoltativi. Fra le combinazioni, quella tra Australian Tea Tree e menta piperita ha dimostrato l’azione batteriostatica più efficace verso i batteri anaerobi obbligati e i microrganismi microaerofili. La presenza della menta piperita sembra quindi avere una azione potenziante verso l' Australian Tea Tree, in particolar modo nei confronti di P.gingivalis. I due terzi dei batteri anaerobi facoltativi sono invece risultati inibiti dalla combinazione tra eugenolo e salvia.

Un altro studio da riportare è quello di Saeki e collaboratori, pubblicato nel 1989, che evidenzia come il timolo allo 0,1% inibisca efficacemente la crescita di tutti i 27 batteri orali, gram + e -, testati, mentre l'olio di menta piperita inibisca meglio la crescita dei batteri gram – piuttosto che dei gram +.

Bisogna però considerare come, nonostante le evidenze microbiologiche di efficacia, alcuni oli essenziali, come ad esempio l’ Australian Tea Tree, non vengano utilizzati in formulazioni commerciali a causa dei loro effetti collaterali, come ad esempio la pigmentazione di denti e mucose.

 

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